La francesitudine non basta per andare all’Ikea.

Ho incontrato un tizio in un modo che sembrava l’inizio di un film francese. E già mi vedevo sorseggiare un bicchiere di vino rosso (francese) seduta su un davanzale, vestita solo di un morbido maglione lungo a vu e calzettoni.

Ci siamo incontrati per strada, davanti a un portone, mentre cercavamo riparo dalla pioggia. Poi il giorno dopo in un bar, sorpresi nel riconoscerci. E i giorni a seguire nello stesso bar. Abbiamo fatto colazione quasi vicini, a un tavolino di distanza, leggendo il giornale (ognuno il suo), guardandoci ogni tanto di nascosto e sorridendo quando gli occhi si incontravano. Siamo finiti a fare colazione allo stesso tavolino, chiacchierando del più e del meno: dalla musica, alla politica, alla Corsica.

Poi un giorno è passato casualmente dove lavoro. Credo davvero per caso perché quando mi ha visto è arrossito. E io pure.

Il giorno dopo, a colazione, ha buttato lì la possibilità di pranzare insieme.

Abbiamo riso parecchio a pranzo, complice il prosecco e un paio di stupidaggini che sono capitate. Mi ha sfiorato la mano. Mi ha sorriso. Mi  ha chiesto il numero di telefono. Così il nostro chiacchierare è proseguito in chat. La sera e la notte. Il giorno dopo, un altro pranzo e tra le risate, gli sguardi, le allusioni sottili si è infilato anche un matrimonio. Il suo. Lo ha detto come se fosse una malattia e ha cambiato subito argomento.

“Sai, ho la peste… com’è il branzino?”

Ho lasciato che questo macigno rotolasse via dal nostro tavolo per non rovinare l’atmosfera. Eravamo seduti di fianco, vicini, molto. Ci siamo salutati baciandoci sulle guance, lentamente, per sfiorarci il più possibile. Ci saremmo divorati se non fossimo stati in mezzo alla strada. Mi ha chiesto se potessimo vederci per un aperitivo, una sera di queste. Ho annuito e gli ho sorriso.

Per il resto della giornata ho pensato a lui. Al suo profumo, al suo modo di ridere, alle sue mani, alle labbra. E l’ho bloccato. Ho cancellato le chat e messo il suo numero nella lista nera, dove metto quelli che mi chiamano dalla Tunisia e non so perché. Mai fatto in vita mia. Non butto mai niente, neanche le scatole vuote e le penne usate.

Mi si è completato il film francese dove io sono sì seduta sul davanzale seminuda, ma il calice di vino rosso è il decimo e son lì a smadonnare guardando il cielo fuori. Da sola. Forse perché doveva andare all’Ikea con la moglie e non poteva certo deluderla.

Perché io posso essere l’amante perfetta, sufficientemente insicura da non chiedere troppo. Passerei le giornate ad aspettare il suo tempo libero distruggendo il mio. Farei salti mortali per essere sempre pronta e disponibile. Finirei per sembrare una che è costantemente liscia e profumata e anche sexy ma non lo sono sempre in verità. Lo sono perché aspetto e mentre aspetto mi depilo e mi profumo per essere sempre pronta e disponibile, appunto. Finiremmo per farci succose scopate, condite per lui da quel pizzico di trasgressione che è il proibito. Mi userebbe per farselo venire barzotto prima di entrare in casa sua. Ma il resto, tutte le cose normali che comunque non fanno schifo, lo farebbe con lei. Le serate davanti alla tv, anche l’Ikea.

Io finirei per leggere prima il suo oroscopo del mio (combattuta tra l’altro se leggere del mio quello di coppia o per i single) e mi troverei a pensare a tutte le cose che potremmo fare insieme, come se avessi un uomo immaginario. Un cartonato. E lui qualche volta penserebbe a me, forse sotto la doccia. O magari mentre è in vacanza con lei, chessò in Spagna o a New York, penserebbe a come lo sveglierei io al mattino, alle cose che mi fanno ridere o che mi fanno paura ma fanno ridere lui. Con un pizzico di malinconia, e solo per un attimo, si chiederebbe quale sarebbe la mia reazione davanti a un posto meraviglioso mentre sua moglie è intenta a fotografarlo quel posto meraviglioso.

Non voglio neanche sapere se e quanto potrebbero essere succose le nostre scopate, perché se una cosa mi piace poi la voglio tanto e tutta per me. Per lo stesso motivo per cui non vado in giro per vetrine a guardare quello che non mi posso comprare. 

E poi i film francesi finiscono quasi sempre male.

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22 pensieri su “La francesitudine non basta per andare all’Ikea.

  1. Sembra di essere lì, a guardare una scena mille.volte vista, insoddisfazione che incontra la paura vestita da disponibilità.
    Avere, possedere, rubare, usare. Condizioni della mente, momenti vissuti allo specchio con stimoli differenti, creando film diversi, sentenza emessa, inappellabile.
    È un bel racconto di vita, ti vedo con il maglione, senza vino, guardare fuori lui e lei che non trovano posto all’Ikea.

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